E’ diffamazione accusare qualcuno di essere una “persona falsa”
(Cassazione penale, Sez. V, Sentenza 01/03/2021, n. 7995)
La sentenza in esame prende le mosse dal caso di un soggetto che aveva inviato all’ufficio gestione sinistri delle assicurazioni DAS e Zurich alcune email di reclamo circa la cattiva gestione di una pratica assicurativa, accusando la persona che l’aveva trattata di essere incapace e falsa e di avere inventato i fatti oggetto della suddetta pratica.
L’imputato veniva condannato in primo grado alla multa di € 700,00 dal Giudice di Pace di Verona, condanna successivamente confermata dal Tribunale di Verona in veste di giudice di appello.
Il predetto imputato proponeva ricorso per Cassazione individuando, tra gli altri, due motivi di impugnazione relativi sia all’elemento oggettivo del reato (condotta), sia a quello soggettivo (dolo).
In relazione al primo aspetto di doglianza egli contestava che le espressioni usate avessero valenza offensiva e sosteneva che dovessero essere lette come legittime rimostranze alle società assicuratrici.
Il ricorrente affermava, inoltre, di non essere stato informato dalla parte offesa – che gli aveva fornito le e-mail di contatto – che la missiva poteva essere letta anche da altri. Quest’ultima circostanza, quindi, avrebbe escluso la coscienza e volontà di diffondere il proprio pensiero a più persone, elemento che distingue la diffamazione dal reato (oggi depenalizzato) di ingiuria.
Infine, l’imputato invocava il diritto di critica quale scriminante al proprio agire.
La decisione dei giudici di legittimità
La Corte di Cassazione affermava in primis di essere direttamente legittimata a valutare la portata offensiva della frase che si assume lesiva della altrui reputazione, indipendentemente dal giudizio espresso dal giudice di merito.Osservava, inoltre, che dall’istruttoria eseguita nei gradi precedenti, non emergevano condotte di scarsa professionalità della vittima e che le espressioni utilizzate dall’imputato non si limitavano ad esprimere giudizi sull’operato della parte offesa ma ne coinvolgevano la dimensione umana.
Ne discendeva, pertanto, una inescusabile lesione del diritto all’onore del soggetto diffamato, definito una persona in sé “falsa” e che “si inventa le cose”.
In secondo luogo, gli ermellini escludevano che l’autore del reato ignorasse la natura non personale degli indirizzi e-mail forniti. Questi ultimi, infatti, erano palesemente generici e le lettere individuavano quali destinatari i dirigenti degli uffici sinistri delle compagnie di assicurazione. Doveva concludersi, pertanto, che l’azione fosse sorretta dall’elemento soggettivo del dolo che si concretizza nella coscienza e volontà della condotta, indipendentemente dalla finalità perseguita.
La Corte di Cassazione, infine, non riconosceva all’imputato la scriminante del diritto di critica.
Infatti, come più volte affermato, quest’ultimo è legittimamente esercitato al ricorrere dei presupposti necessari della verità del fatto storico attribuito al diffamato e della forma espositiva corretta, che non può trasmodare nella gratuita aggressione personale ma deve essere strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione dell’operato della parte offesa.
Nel caso di specie, tuttavia, le espressioni usate (persona incapace e falsa che aveva inventato i fatti oggetto della pratica trattata) apparivano inutilmente umilianti e volte a qualificare la personalità della vittima più che la sua condotta, con conseguente diffamazione per lesione della reputazione e dell’onore della persona attaccata.
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